Fino ad oggi l’usabilità di Google Tasks su desktop è stata seriamente limitata dal fatto che l’app era disponibile soltanto in una barra laterale del desktop. Dalla fine di novembre potete visualizzare tutte le vostre liste in Google Tasks su un’unica pagina web all’interno di Google Calendar. Accedere alla nuova funzionalità è semplicissimo; andate su calendar.google.com e fate click sull’icona di Tasks nella barra in alto. Per ulteriori informazioni potete consultare il blog Google Workspace updates a questo link https://workspaceupdates.googleblog.com/2023/11/view-full-screen-tasks-lists-on-google-calendar.html
Il Time Management secondo Stephen Covey
Stephen Covey – l’autore del best-seller “The 7 habits of highly successful people” è famoso per la matrice Eisenhower / Covey, quella, per intenderci, che mette in relazione l’importanza e l’urgenza delle cose da fare. Vi ho già esposto la mia perplessità nei confronti della matrice. Non tutti però sanno che Covey ha proposto anche un sistema di produttività “stile GTD®” da applicare utilizzando degli appositi planner. Il metodo si applica solo alle attività del quadrante II, quello delle attività “importanti ma non urgenti”, dal momento che le attività del quadrante I “importanti e urgenti” vanno fatte al più presto e le attività dei quadranti III e IV non vanno fatte per niente. Il metodo è articolato in quattro passi:
- Identificare i propri ruoli; individuo, ruoli nella vita personale, ruoli nella vita lavorativa.
- Pensare a due-tre obiettivi importanti per ciascuno dei ruoli da raggiungere nella prossima settimana, idealmente collegati alla propria dichiarazione di missione personale.
- Programmare nella settimana le attività necessarie per raggiungere gli obiettivi.
- Adattare giornalmente la pianificazione.
Secondo Covey questo processo soddisfa sei importanti criteri:
- Coerenza con la missione personale
- Equilibrio tra i ruoli
- Programmazione settimanale
- Dimensione dei rapporti umani, grazie ai ruoli
- Flessibilità, grazie all’adattamento giornaliero
- Mobilità, grazie all’uso di un planner
Stephen Covey e “First Things First”
Sono trascorsi 16 anni dall’uscita del best seller “How to Get Control of Your Time and Your Life” di Alan Lakein, e arriva un nuovo best seller; “The 7 habits of highly successful people”, di Stephen R. Covey, tradotto in italiano con l’improbabile titolo “Le 7 regole per avere successo”. Ai fini di questo post mi interessa parlare di un solo habit, il numero 3, First Things First, che – ovviamente – parla di priorità. Secondo Covey le attività devono essere raggruppate non in tre categorie (A, B, C) ma in quattro quadranti, caratterizzati da due fattori, l’importanza e l’urgenza. Ciò che è importante contribuisce alla nostra missione e ai nostri valori, mentre ciò che è urgente richiede un’azione immediata. Ciò che rientra nel primo quadrante è sia importante che urgente, e viene denominato “crisi” o “problema”; ciò che rientra nel secondo quadrante è importante, ma non urgente, ciò che rientra nel terzo quadrante è urgente ma non importante, e ciò che rientra nel quarto quadrante non è né urgente né importante. Secondo Covey chi trascorre la maggior parte del proprio tempo nei quadranti III e IV “conduce una vita di fatto irresponsabile”, mentre il quadrante II “è il cuore di un’efficace gestione personale”.
Per gestire sé stessi nel quadrante II Covey propone un semplice processo in quattro fasi:
- Stabilire, nero su bianco, i ruoli che si intende ricoprire (Individuo, Coniuge/Genitore, Manager…)
- Scegliere due / tre importanti risultati per ciascun ruolo (obiettivi)
- Pianificare la settimana entrante tenendo presenti gli obiettivi
- dattare giornalmente la pianificazione a fronte di eventi, relazioni ed esperienze inattese
Herbert Simon e l’Information Overload
Tutti gli autori di produttività individuale parlano di Information Overload, spesso citando una frase dell’economista Herbert Simon: “Ciò che consuma l’informazione è piuttosto ovvio: consuma l’attenzione di chi la riceve. Quindi una ricchezza di informazioni crea una povertà di attenzione”. Ad esempio Tiago Forte scrive “L’accesso istantaneo alla conoscenza del mondo attraverso Internet avrebbe dovuto educarci e informarci, ma ha invece creato una scarsità di attenzione in tutta la società”.
È lo stesso Herbert Simon a smentire questo punto di vista, quando scrive “Il sovraccarico di informazioni è nella mente di chi legge. Le informazioni non devono essere elaborate solo perché ci sono. Il filtraggio da parte di programmi intelligenti è la parte principale della risposta”. Morale; consultare informazioni è fondamentale, ma porta via tempo. Di conseguenza dobbiamo evitare di consultare informazioni che non ci servono (esempio; le news!) e dobbiamo utilizzare sistemi in grado di conservare e comprimere le informazioni che ci servono in modo intelligente. Non dobbiamo conservare informazioni quando il costo di estrarre le informazioni dall’ambiente è superiore al costo di elaborarle e conservarle.
Inbox zero
Forse non tutti sanno che il termine Inbox Zero ha avuto origine nell’estate del 2007, quando il blogger Marlin Mann, autore del blog 43 folders e grande fan di GTD®, ha organizzato una presentazione per i dipendenti di Google. I contenuti di quella presentazione sono familiari per tutti i GTDers; ogni volta che visitate la vostra casella di posta, dovreste sistematicamente svuotarla fino a quando non contiene zero messaggi. Chiarite quale azione richiede ogni messaggio: una risposta, un inserimento nella lista delle cose da fare o semplicemente l’archiviazione. Eseguite quell’azione. Ripetete l’operazione fino a quando non rimane più alcuna e-mail. Quindi chiudete la casella di posta e continuate a vivere.
Due anni dopo il suo intervento su Google, Mann ha pubblicato un video online in cui annunciava di aver firmato un contratto per un libro su Inbox Zero ). Il libro non è stato pubblicato. I fan cominciarono a fare domande. Poi, dopo altri due anni, Mann pubblicò un saggio in cui annunciava che avrebbe abbandonato il progetto. Ha lasciato intendere che avrebbe potuto scrivere un altro tipo di libro, un libro sulle cose veramente importanti, ma questo non è mai accaduto. Apparentemente a un certo punto Mann ha pensato che dedicare tutto il suo tempo alla scrittura di un libro in cui non credeva più per compiacere il suo editore non valesse il tempo non dedicato alla sua famiglia, come potete ancore leggere negli ultimi post del suo blog.
Ryder Carroll e il metodo Bullet Journal
Dieci anni fa, l’8 agosto 2013, Ryder Carroll pubblicava il sito web bulletjournal(dot)com, con l’obiettivo di condividere con altre persone il metodo che lui aveva realizzato per superare le difficoltà causate dalla sindrome di deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
Il successo del sito ha portato Carroll a pubblicare nel 2018 il suo best seller “Il metodo Bullet Journal”, e in seguito a lanciare la community BuJo U. A differenza dei metodi di cui vi ho parlato nei post precedenti il metodo Bullet Journal si basa soltanto sull’uso di un taccuino e di una penna; la lentezza e la necessità di trascrivere più volte le informazioni non sono viste come un difetto, ma come una “feature” del metodo.
Il metodo prevede la registrazione quotidiana (Rapid Listing) dei nostri pensieri, organizzati in note, task ed eventi. I task non completati in giornata sono trascritti nuovamente nelle giornate successive, dopo che un processo di filtraggio ha eliminato i task meno interessanti. Come accade in altri metodi sono presenti momenti di riflessione periodica a fine settimana e a fine mese.
I task e le note relativi ad argomenti specifici sono organizzati in raccolte, che possono avere qualsiasi formato. Ad esempio è possibile organizzare i task di un progetto in un formato simile a quello di una kanban board, oppure tenere traccia delle abitudini che vogliamo tenere sotto controllo, dei libri che vogliamo leggere, e così via.
Credo che la migliore definizione di questo metodo sia quella che usa lo stesso Ryder Carroll; un metodo per la mindfulness camuffato da sistema di produttività individuale.
Fate attenzione ai Five Whys…
Stamani Andrea Giuliodori, l’autore di Efficacemente, ha inviato alla sua newsletter “Pre-365: un anno epico” una email in cui raccomanda di chiedersi per cinque volte il perché del progetto più importante che desideriamo portare avanti. Ryder Carrol, l’autore del metodo Bullet Journal, dice più o meno la stessa cosa nel suo corso online di introduzione al metodo. Ma… perché si usano i cinque perché? Funzionano?
Partiamo dall’inizio; il metodo Five Whys è uno dei due metodi generalmente raccomandati per la RCA, l’analisi della causa radice di un problema (l’altro è il diagramma di Ishikawa). La causa radice è una causa che, una volta rimossa, porta all’eliminazione definitiva del problema.
Si ritiene che il metodo sia stato introdotto da Taichi Ohno, l’ideatore del Toyota Production System, il quale raccomandava ai dirigenti di chiedersi per cinque volte il perché di un problema prima di provare a risolverlo. Il metodo prevede cinque passi, che devono essere eseguiti scrupolosamente:
- Identificare il Problema: Definire il problema in modo specifico.
- Chiedere il Primo Perché: Porre la domanda “Perché questo problema si è verificato ?” La risposta a questa domanda dovrebbe essere basata su fatti concreti e dovrebbe essere il più diretta possibile.
- Proseguire con le Domande Successive: Dopo aver risposto al primo “Perché”, continuare a chiedere il “Perché” di ogni risposta data. Questo processo aiuta a scavare più a fondo nelle cause radice del problema.
- Ripetere fino alla Radice del Problema: Continuare a chiedere “Perché” fino a quando non si raggiunge la causa radice del problema o non si stabilisce che la causa radice non è compresa nell’ambito di controllo del team che sta eseguendo l’analisi.
- Identificare le Azioni Correttive: Una volta identificata la causa radice, sviluppare un piano di azioni correttive per affrontarla.
Semplice, vero? Purtroppo non è così; nonostante l’analisi della causa radice sia diventata da anni obbligatoria in molti settori industriali la sua adozione non ha portato a miglioramenti osservabili (vedi lo studio citato nei commenti).
E come avviene spesso l’insuccesso – totale o parziale – di un metodo non ha portato a una riflessione approfondita, ma all’introduzione di metodi nuovi destinati a fare la stessa fine.
Lo studio “Five Whys Root Cause System Effectiveness: A Two Factor Quantitative Review” https://digitalcommons.wku.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=4102&context=theses ha invece approfondito il problema, dimostrando che per far funzionare 5 Whys è indispensabile un facilitatore esperto e adeguatamente formato, e che il processo che vi ho descritto sopra deve essere applicato con rigore.
Morale; tutti i metodi sono degli spunti che facilitano il raggiungimento degli obiettivi, non delle soluzioni magiche ai problemi. Se un metodo non ha funzionato per voi cercate di capire il perché prima di sostituirlo con un metodo nuovo…
Lista “Zombie mode”
Vi capita mai di non voler pensare a nulla e di essere disponibili solo a fare delle attività che non richiedano nessuno sforzo mentale? A me sì. Ho trovato molto utile il suggerimento di Lisa (la trovate su Instagram, @plannersimplicity); creare una lista “Zombie mode”, contenente task molto semplici e ben definiti.
Senza la lista avrei probabilmente sprecato del tempo cercando qualcosa su cui lavorare all’interno delle mie liste GTD®. Con la lista Zombie mode posso concentrare la mia attenzione senza dover prendere decisioni e impiegare in maniera produttiva il mio tempo. Anche se in questo modo svolgo solo attività di routine e senza particolare impegno mentale si tratta comunque di un grande miglioramento rispetto al non fare nulla.
Generative drive
Oggi, come ogni lunedì, ho (ri)letto un capitolo di quello che secondo me è il libro più bello di David Allen, Ready for anything. Nel capitolo di oggi (il 50) David si chiede perché solo alcune persone sono attirate da GTD®, e decide che il metodo risulta più interessante per le persone dotate di uno slancio interno costante verso il futuro.
Si tratta di un punto di vista interessante, che secondo me merita una riflessione approfondita. Sono convinto che i metodi di organizzazione personale si differenziano dai metodi di organizzazione dei team per la maggiore importanza della motivazione; nessuno può obbligarci a fare qualcosa che non ci va di fare, a differenza di quello che accade al lavoro.
Ho però scoperto di recente che esistono diversi tipi di motivazione; ad esempio Paul Conti, che vi ho citato più volte, introduce tre tipi di motivazione, chiamati Generative Drive, Pleasure Drive e Aggressive Drive.
Generative Drive si riferisce in generale alla spinta verso la creatività, la produttività e la crescita, aggressive Drive si si riferisce all’assertività, all’ambizione e talvolta agli aspetti più distruttivi del comportamento, come la rabbia o l’ostilità, mentre Pleasure Drive riguarda la ricerca del piacere e l’evitare il dolore.
GTD® non fa differenza tra i tre tipi di motivazione, ma solo se la Generative Drive è più forte delle altre due possiamo trovare pace, soddisfazione e gioia. Un eccesso di Aggressive Drive, ad esempio, genera invidia.
Morale; non basta avere tante idee e tanti progetti per vivere un’esperienza ottimale, ma le idee e i progetti devono essere di natura prevalentemente generativa.
Struttura e funzione del sé
Ho ascoltato di recente con grande interesse quattro puntate del podcast Huberman Lab, in cui Andrew Huberman ha intervistato lo psicologo Paul Conti sul tema della salute mentale. Secondo Paul Conti è importante diventare consapevoli della struttura della propria coscienza (la struttura del sé) e delle funzioni della propria coscienza (le funzioni del sé). Vi riporto di seguito le componenti di ciascuno dei due elementi.
La struttura del sé
La struttura del sé si articola in cinque elementi; il sé, la struttura del carattere, i meccanismi di difesa, la mente conscia e la mente inconscia.
- Self: Il “Self” è il nucleo dell’identità di una persona. È la parte di noi che sentiamo essere il nostro “vero io”, la parte più autentica e costante del nostro essere. È la fonte della nostra sensazione di unicità e individualità.
- Character Structure: La struttura del carattere si riferisce al modo in cui una persona si è adattata e ha reagito alle sue esperienze di vita, in particolare durante i primi anni di sviluppo. Questa struttura include tratti di personalità, valori, convinzioni e modi abituali di rispondere alle situazioni. È in gran parte plasmata dalle nostre esperienze, dall’ambiente in cui cresciamo e dalle interazioni con le persone significative nella nostra vita.
- Defense Mechanisms: I meccanismi di difesa sono processi psicologici inconsci che proteggono l’individuo da ansia, stress o minacce percepite al proprio benessere psicologico. Includono comportamenti come la negazione, la repressione, la proiezione, e la razionalizzazione. Questi meccanismi aiutano a gestire il dolore emotivo e a mantenere l’equilibrio psicologico, ma possono anche limitare la nostra comprensione di noi stessi e delle nostre relazioni con gli altri se utilizzati eccessivamente o in modo inappropriato.
- Conscious Mind: La mente cosciente è la parte della mente di cui siamo pienamente consapevoli. Include tutto ciò che percepiamo, pensiamo, ricordiamo e sentiamo in un dato momento. È la parte della mente che utilizziamo per prendere decisioni razionali e logiche.
- Unconscious Mind: La mente inconscia, invece, è la parte della mente che opera al di fuori della nostra consapevolezza consapevole. Contiene ricordi, desideri, paure e conflitti che non sono facilmente accessibili alla coscienza, ma che influenzano comunque il nostro comportamento e le nostre emozioni. La psicoanalisi e altre forme di terapia psicologica cercano di esplorare e comprendere la mente inconscia per aiutare gli individui a risolvere conflitti interni e migliorare il benessere emotivo.
Le funzioni del sé
Il sé ha cinque funzioni; gli obiettivi, i comportamenti, la salienza, i meccanismi di difesa e la consapevolezza di sé.
- Strivings: Gli “strivings” si riferiscono agli sforzi o agli obiettivi che una persona persegue nella vita. Questi possono includere aspirazioni, desideri, bisogni e motivazioni. Sono le forze trainanti dietro molte delle nostre azioni e decisioni, influenzando il modo in cui ci comportiamo e interagiamo con il mondo.
- Behavior: Il comportamento è l’espressione esterna delle nostre strivings, pensieri, emozioni e caratteristiche della personalità. Include le azioni che compiamo, le parole che diciamo, e anche i nostri comportamenti non verbali. È attraverso il comportamento che interagiamo con il mondo esterno e che gli altri possono osservare e interpretare chi siamo.
- Salience (Internal & External): La “salience” si riferisce a ciò che è più significativo o prominente per l’individuo sia internamente che esternamente. Internamente, può riguardare i pensieri o le emozioni che dominano la nostra consapevolezza. Esternamente, si riferisce a come percepiamo e rispondiamo agli stimoli o agli eventi del mondo esterno. La salience influenza il modo in cui prestiamo attenzione e reagiamo a ciò che accade dentro e intorno a noi.
- Defense Mechanisms in Action: I meccanismi di difesa in azione sono strategie psicologiche inconscie utilizzate per proteggerci da ansia, stress o conflitti interni. Questi meccanismi possono manifestarsi nel nostro comportamento, influenzando come reagiamo alle situazioni e interagiamo con gli altri. Alcuni esempi includono la negazione, la proiezione, la razionalizzazione e la repressione.
- Self-Awareness (“I”): La consapevolezza di sé, o “I”, è la capacità di riflettere su se stessi, sui propri pensieri, sentimenti, motivazioni e comportamenti. È un aspetto critico del funzionamento del sé perché permette di comprendere meglio chi siamo, perché agiamo in un certo modo e come possiamo cambiare o crescere. La consapevolezza di sé è fondamentale per l’autoregolazione e lo sviluppo personale.