Blog

  • Il credenzialismo keynesiano: quando le certificazioni diventano moneta virtuale

    Il credenzialismo keynesiano: quando le certificazioni diventano moneta virtuale

    Negli ultimi anni assistiamo a una crescita incessante delle certificazioni professionali: nuove edizioni, rinnovi periodici, bundle di esami, micro-badge. Una macchina che non sembra arrestarsi.

    Ma questo fenomeno non è nuovo. Già nel 1979 il sociologo Randall Collins, nel suo libro The Credential Society, aveva descritto questo meccanismo.

    Credential inflation e credenzialismo keynesiano

    Collins parlava di credential inflation e addirittura di “credenzialismo keynesiano”: un meccanismo in cui il sistema educativo e certificativo continua a produrre titoli come se fossero moneta, per sostenere l’occupazione e dare l’illusione di progresso.

      Le certificazioni come moneta virtuale

      Oggi le certificazioni funzionano sempre più come una valuta virtuale:

      • si acquistano sul mercato della formazione,
      • si spendono per ottenere un posto di lavoro migliore o un avanzamento di carriera,
      • si accumulano in un portafoglio digitale di badge e attestati,
      • si svalutano man mano che tutti le possiedono.

      Il paradosso delle credenziali

      Il risultato è paradossale:

      • I titoli crescono di numero, ma si indeboliscono come segnale di competenza.
      • Le organizzazioni richiedono sempre più certificazioni, senza che aumenti in proporzione il valore reale delle competenze.
      • I professionisti si ritrovano intrappolati in un debito formativo che non si estingue mai.

      Conclusione

      La domanda resta aperta: stiamo davvero crescendo in competenza o stiamo solo alimentando un sistema in cui le credenziali sono diventate la nuova valuta del lavoro?

    • Onestà intellettuale

      Preparando il nostro nuovo corso di Change Management accreditato APMG International, ho notato nel manuale ufficiale alcuni riferimenti che non reggono più al vaglio della scienza:
      📌 la teoria del triune brain, ormai screditata dalle neuroscienze
      📌 il modello VARK, privo di fondamento empirico
      Come Certiscettico, non potevo ignorarlo.
      Ho scritto a Rajiv Khanna, rappresentante delle ATO Change Management per l’EMEA, che mi ha messo in contatto con Richard Smith, autore principale del testo.
      Con Richard ci siamo confrontati in una call, ho condiviso la documentazione a supporto delle mie osservazioni, e — colpo di scena — pochi giorni dopo mi ha informato di aver avviato una nuova revisione del libro, includendo le correzioni.
      👏 Così si fa: si ascolta, si valuta, si migliora.
      Non è sempre scontato, soprattutto in un mondo della formazione dove spesso si dà per buono tutto ciò che è “certificato”.
      Questa volta, invece, Change Management si è dimostrato anche evidence-based.

    • Scrum è un framework pensato per ambienti complessi.

      Ambienti in cui, per definizione, le relazioni causa-effetto si comprendono solo a posteriori.

      Peccato che, come ci ricorda il bias del senno di poi (hindsight bias), la nostra comprensione a posteriori è spesso un’illusione. Ci convinciamo che “era tutto chiaro fin dall’inizio”, ma è il cervello a raccontarcela così.

      E allora? Allora Scrum, se mal interpretato, rischia di diventare un framework che non genera valore, ma solo la sensazione di averlo generato. Una narrazione rassicurante, non una reale ispezione e adattamento.

      📌 Ne abbiamo parlato nel webinar “Scrum Guide Expansion Pack“, e ne parleremo ancora – da una prospettiva diversa – nel prossimo appuntamento:
      🧠 30 Cognitive Bias in 60 minuti
      👉 https://equalityitalia328.clickmeeting.com/30-bias-cognitivi-in-60-minuti/register

      Un viaggio tra le trappole mentali che distorcono le decisioni, i team, i prodotti… e anche le retrospettive.